Lo diceva Pavese, non lo scopro certo io: "tutto il problema della vita è rompere la propria solitudine, comunicare con gli altri".
A un certo punto, durante la pandemia, mi sono accorto che era cambiato in peggio anche il modo in cui ascolto la musica. Un disco mi ha aperto gli occhi.
Una risposta a una domanda che non c'entrava niente, e cioè: "Come si evolve il gusto musicale di una persona?"
Nell'anno del mio record di minutaggio di Sanremo, ho pensato a freddo che forse gli altri anni mi sono perso qualcosa, al di là dei meme.
Poteva essere un anno senza musica, è stato un anno senza scuse e senza bugie. I quattro dischi che mi hanno accompagnato nel 2020.
Cosa diventa la musica quando resti solo.
Il punkrock mi ha salvato la vita o me l'ha rovinata? Cosa penserà la mamma dei miei capelli viola, e più in generale del mio fallire sempre? Forse la risposta sta in quella volta che ho visto i Boysetsfire.
Il mio anno inizia sulla mia scrivania, in un ufficio in cui ci siamo solo io e una mia amica e collega di fronte a me. Siamo lì per motivi diversi. Il 2017 in musica.
Winter Wheat è la più grande delusione della mia vita, direttamente dal tizio che ha scritto la canzone più importante della mia vita.
Padova, Vicenza e Verona. Il calcio e la musica. Gli Argetti e i Rituals. Cosa c'entrano? Niente.
Nessuno va ai concerti, l'Italia musicalmente è decenni indietro al resto del mondo ed è tutta colpa delle cover band?
Ricordo commosso di una stagione che ci vergogniamo di rivivere. Finch, Dead Poetic, From Autumn To Ashes e altri scheletri nell'armadio.